Il food? Il nuovo fashion degli italiani

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Parola del rapporto Coop 2017 che fotografa un Paese meno intimorito degli anni precedenti e più disponibile a investire su beni durevoli, turismo e, naturalmente, food

«Oggi il cibo è diventato la nuova frontiera del fashion, arrivando a prendere il posto dell’abbigliamento nel segnalare condizione ed identità sociale degli individui. Quello che mangiamo non è più soddisfazione di un bisogno organolettico e di cura del corpo, ma sempre più elemento “estetico” della rappresentazione sociale che di noi vogliamo dare. In altre parole, si è innestato qualcosa di molto più profondo dell’immedesimazione tra individuo e cibo teorizzato dal filosofo Feuerbach: il cibo tende a condensare nuovi desideri e nuove aspirazioni, catalizza ansie e preoccupazioni, diventando non solo il termometro dello stato d’animo delle persone, ma anche l’immagine della loro condizione personale e sociale.

La prima e più rilevante implicazione dell’equazione cibo-moda ha a che vedere con la fluidità nelle scelte di consumo. Stagionale per definizione come e più dell’abbigliamento, il cibo diventa sperimentazione, individualità, soprattutto cambiamento frequente delle preferenze. Quando a guidare la scelta alimentare non è più soltanto il palato e la sua soddisfazione, i comportamenti di consumo diventano più “liquidi” e sincopati, cambiando con crescente rapidità. Come l’abbigliamento è stato per lunghissimo tempo la proiezione della coscienza individuale, una istantanea del proprio stato d’animo, allo stesso modo oggi i piatti diventano una storia personale da narrare. Quello che conta è l’estetica, l’impiattamento, la resa scenica, un piacere per gli occhi ancora prima e ancor più che per il palato: il cibo deve saper stupire, osare, provocare».

Il documento conferma anche un’evoluzione dei significati che gli italiani attribuiscono all’attività di consumo sia in casa che fuori. Crisi o non crisi, a certi piaceri non sappiamo proprio rinunciare.

«Sarà la moda di recensire i ristoranti come veri critici gastronomici, oppure la voglia di mangiare bene anche quando si ha poco tempo per preparare o ancora il gusto di trascorrere un momento piacevole in compagnia degli amici: qualunque sia la motivazione, gli italiani si confermano assidui frequentatori di pizzerie e ristoranti. Non vi hanno rinunciato nelle fasi più acute della lunga recessione (tra il 2007 ed il 2013 i consumi fuori casa hanno ceduto in quantità appena il 2%, a fronte di un -12% per quelli domestici), figuriamoci oggi che la situazione si sta gradualmente riportando sui binari della normalità. Degno di menzione è certamente il cambiamento del significato e del portato valoriale della cena al ristorante: ritrovarsi con gli amici davanti ad un buon piatto ed un buon bicchiere di vino non è (solo) un momento di svago, uno sfizio da concedersi per spezzare la routine quotidiana o una occasione di convivialità e soddisfazione edonistica, come avveniva in passato. È soprattutto l’occasione per sperimentare ed innovare, assaporare piatti più raffinati da replicare nella cucina di casa. Ai ristoranti si chiede quel “quid” in più che può fare la differenza: una cena fuori non si riduce al semplice atto di mangiare una pietanza, ma deve essere soprattutto una esperienza, dove la qualità del cibo riveste un ruolo di primo piano».

 

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