Gli chef e la pandemia: cosa possiamo imparare da loro?

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Infermieri e medici sono i nuovi “eroi” del momento, osannati e intervistati in ogni dove, ad alimentare il pervasivo storytelling della pandemia che vede la maggior parte delle categorie professionali e, soprattutto imprenditoriali, come vittime quasi impotenti.

Dopo un periodo di dominio della scena comunicativa, tra programmi televisivi, interviste, premi, spot e linee di prodotti, anche gli chef (stellati e non) sono stati costretti ad abbandonare una certa immagine di invincibilità e successo, per ritrovarsi, come tutti, a fare i conti con un futuro improvvisamente incerto.

Ma quali sono gli atteggiamenti tenuti da questi artisti-imprenditori in un momento così difficile?

E, soprattutto, cosa possiamo imparare da loro?

Uno dei primi spunti arriva da Andrea Berton, patron dell’omonimo ristorante a Milano, che ha immediatamente creato i restaurant bond, definiti dallo chef “un segnale per dire: noi non ci arrendiamo!” Ai clienti è stata offerta la possibilità di acquistare in anticipo pregiati aperitivi e cene a prezzi decisamente vantaggiosi, per poi poterne fruire alla riapertura. E, a meno di una settimana dal lancio, pare ci fossero già 180 richieste.

Anche il pluripremiato Massimo Bottura ha sviluppato un’idea simile (Futures24), ma ha preferito investire il proprio tempo e la propria creatività nel restare virtualmente in contatto con la clientela, dedicandosi allo show cooking su Instagram dal nome decisamente evocativo: Kitchen Quarantine. Per Bottura, infatti, il segreto della ripartenza sarà proprio il “non perdersi di vista” e “rimanere connessi” con gli estimatori della buona cucina, senza dare per scontato che non avranno sufficienti risorse da investire nella loro passione.

Lo chef Gennaro Esposito, fortemente legato alle proprie radici, nonostante un’esperienza internazionale e locali aperti anche a Londra e Ibiza, ha puntato su un altro tipo di contributo: far parte della task force voluta dal governatore della Campania, Vincenzo De Luca, per un ripensamento della ristorazione regionale. Lo chef ha spiegato che solo attraverso l’ascolto dei bisogni delle diverse tipologie di imprenditore del food sarà possibile mettere in campo delle soluzioni realistiche e non delle semplici indicazioni standard. Insomma, un impegno positivo a servizio della collettività e, sicuramente, un ottimo ritorno di immagine.

Molto più polemico e severo Alessandro Borghese che, senza troppi giri di parole, ruggisce: “l’assenza dello Stato sta radendo al suolo la ristorazione. Così si resiste un altro mese”. Lo chef ha anticipato di tasca sua i soldi della cassa integrazione per i suoi 64 collaboratori, (mai arrivati a causa della burocrazia) e utilizza la propria notorietà per richiamare l’attenzione sui problemi che dovranno affrontare quei ristoratori che, nel tempo, non hanno avuto desiderio o possibilità di diversificare le entrate, come ha fatto lui che, infatti, gestisce un affermato catering, una società di consulenza, un pastificio e, infine, un ristorante fine dining a Milano. Ed ecco un altro suggerimento: capire come sviluppare soluzioni alternative così da “restare a galla” quando un investimento entra in sofferenza.

E all’estero? Qual è il sentiment?

C’è chi ha utilizzato il tempo della quarantena per perfezionare le proprie tecniche e mettere a punto nuove ricette come l’Executive Chef del Phoenicia Hotel a Beirut, Armando Codispoti, che intercetta, come trend, “un riavvicinamento ai prodotti locali” (dopo vere e proprie sbornie di ingredienti bizzarri provenienti da ogni parte del mondo). Ma forse non sarà più auspicabile stupire con gli effetti speciali, bensì con la professionalità: “mi auguro che questa crisi sia comunque un’occasione per dimostrare davvero alla clientela chi è un ristoratore improvvisato e chi no, consentendole di scegliere con maggiore consapevolezza”. Ci sarà un’evoluzione del modello “Izakaya”.

Allineato, l’Executive Chef del Marriott Hotel a Dubai, Corrado Pani, che tra studi e nuovi trend invita a fare un pensiero introspettivo rivolto al cambiamento, mentre sul futuro, suggerisce di tenere d’occhio lo sviluppo delle dark kitchen, quindi delivery, e pick up box station.

Ma cosa sono le dark kitchen? Qualcuno le definisce “l’evoluzione del food delivery” (inevitabilmente scelto da ristoratori e consumatori durante il lockdown): si tratta di cucine senza ristorante che preparano pietanze destinate esclusivamente alla consegna a domicilio (non è neanche possibile recarvisi per ritirare l’ordinazione di persona).

La gestione di una cucina senza sala è indubbiamente più economica e agile e può diventare un’eccellente soluzione per la distribuzione presso più punti vendita di piatti qualitativamente standardizzati, riducendo drasticamente le criticità legate alla sanificazione degli ambienti, al distanziamento sociale e all’investimento in personale, locali e attrezzature.

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