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Cosa resterà di questi anni 80? si chiedeva Raf in una nota canzone, oggi potremmo dire che non è rimasto granché, almeno dal punto di vista culinario: verdurina decorativa nel piatto? ELIMINATA! Panna da cucina? ELIMINATA! E l’elenco sarebbe piuttosto lungo.
Quello che, invece, si ricordano bene sia i baby boomers (i figli del dopoguerra), che la generazione X (nati dal 1960 al 1980) è il sapore delle ricette cucinate dalle nonne e dalle mamme.
Quei sughi, quegli arrosti, quelle tagliatelle che hanno sempre rappresentato molto più che semplici pietanze: sono state la sintesi di uno stile di vita, simboli delle priorità italiche, luci in fondo ai tunnel delle scatolette di tonno mangiate da studenti in trasferta, fari guida nel caos distopico delle mode.
E chi è nato dopo? Già, loro. Quelli immersi nel tempo degli “straccetti di seitan con barbabietole biologiche e curcuma”, quelli del fast food tutti i giorni “perché è comodo”, delle madri ipertech che ordinano al giappo con lo smartphone e delle trasmissioni televisive dove devi imparare ad abbinare la carne di bisonte con l’estratto di bacche di Goji o sei uno sfigato.
Cosa resterà nella memoria delle loro papille gustative? Quali saranno i cibi, le tradizioni, i sapori che si ricorderanno tra trent’anni, avvertendo il profondo bisogno di goderli ancora e di trasmetterli ai loro figli, ai loro nipoti?
Se cogliere lo spirito delle nuove generazioni è sempre complesso, diventa ancora più sfidante provare a proiettarsi nel futuro e immaginare cosa ci sarà sulle loro tavole.
Abbiamo posto il quesito ad alcuni millenials (nati tra il 1980 e il 1990) e il riscontro è stato sorprendente (o tranquillizzante, dipende dai punti di vista):
Sembrerebbe, quindi, che, a questo livello, non si sia manifestato un processo di contaminazione gastronomica così invasivo e pervasivo da far tremare le fondamenta del tricolore.
Ma è di fronte agli esponenti della generazione Z (nati dal 1995 al 2010) che alziamo le antenne:
Insomma, tra le nuovissime generazioni sembra prender piede non tanto la curiosità nei confronti di alimenti esotici e alternativi, quanto un diverso approccio al concetto stesso di alimentazione, vista più in logica funzionale a bisogni individuali e valori sociali che come vizio del palato in sé.