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Esistono molte storie di successo iniziate per caso, magari dentro uno scantinato o un garage, pasticciando in cucina senza pretese o creando una piccola società con gli amici di una vita.
Alcune partono dallo studio, dalle scuole di alta cucina, dalla gavetta e dall’esempio di un genitore o di qualche buon maestro disposto a trasmettere il sapere senza gelosie.
Sono storie di sacrifici e miglioramenti, di investimenti e notti insonni, di scelte che non sempre pagano, di collaboratori che spariscono all’improvviso.
Ci sono anche storie di iniziative-kamikaze, di “mi hanno licenziato, apro un ristorante”, di rustica improvvisazione, di ultime spiagge e di “è tutta colpa della crisi”.
L’Italia è un bacino inesauribile di offerte enogastronomiche e, appunto, di narrazioni differenti che raccontano il coraggio, la passione e la follia dei suoi protagonisti.
Eppure, nella diversità, è possibile rintracciare una costante, un punto che potremmo definire di svolta e che, prima o poi, arriva per tutti: è il momento in cui si decide se crescere – strutturarsi, assumere, ingrandirsi, riposizionarsi, internazionalizzarsi – o restare legati a un certo modo di lavorare, combattendo concorrenza e innovazioni armati della ricetta segreta della nonna o del potere di una location ben posizionata.
Che si propenda per la prima o per la seconda soluzione, un ristoratore non è (o almeno non dovrebbe essere) un semplice appassionato di cibo, ma un imprenditore obbligato a gestire una crescente complessità di tipo economico, sociale e territoriale.
In questo senso, come consulenti, assistiamo spesso a momenti di stanchezza e smarrimento nei quali, pur avendo accumulato esperienza ed essendosi lanciato in progetti di ampliamento – aprendo anche più di un locale – l’imprenditore si vede sommerso da oneri estremamente diversificati: modernizzare l’organizzazione, mantenere standard di qualità, gestire nuovo personale, definire nuove food-chain, dare coerenza alla comunicazione e al marketing, ecc.
Come procedere?
Sembrerà anacronistico, ma è proprio quando ci si trova in questo limbo che ha senso ripartire dall’analisi e tornare a porsi le domande fondamentali (o farsele per la prima volta):
Questo processo apparentemente semplice e filosofico ha delle implicazioni economiche importanti e può riallineare e ottimizzare risorse e tempi riducendo quel senso di frustrazione e di caos che caratterizza tutte le evoluzioni.
Per chi non è abituato a riflettere “dall’esterno” sulle proprie criticità potrebbe essere utile avvalersi di qualche modello-guida. Tra i più noti ci sono sicuramente i canvas (sotto ne vediamo un esempio) che supportano la riflessione e la capacità di auto-analisi.
Chi, invece, avvertisse il bisogno di un intervento risolutivo può sempre scegliere la strada del food consulting: un’azienda, un esperto (o uno staff di esperti) in grado di accompagnare imprenditori e investitori in un percorso di autoconsapevolezza, sviluppo e consolidamento delle attività partendo proprio da uno studio molto concreto e ricco di spunti operativi.
Da non sottovalutare, infine, la componente della formazione e del confronto continuo: selezionare delle iniziative autorevoli, dei gruppi di discussione, delle occasioni di networking da utilizzare per comprendere meglio in che modo si viene percepiti dal di fuori, cosa ci si aspetta da noi e come stanno cambiando i consumi, abbandonando gli atteggiamenti autoreferenziali che danneggiano imprese e imprenditori, bruciando denaro ed energie.
Qual è la vostra esperienza in questo senso?
Quali strumenti utilizzate per far crescere la vostra impresa?