Innovare nella ristorazione: è ancora possibile?

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Ricerca, contaminazione, sperimentazione sono parole d’ordine nel mondo del food ( e del foodservice ) che è sempre in evoluzione, spinto dalla passione dei suoi protagonisti, ma anche dal bisogno di rispondere alla principale sfida del mercato odierno: distinguersi.

Il posizionamento all’interno di un segmento così affollato e competitivo non è mai stato semplice, ma, accanto a questa complessa ricerca di identità, inizia a prender forma la sensazione che si assista a una perenne rielaborazione e reinterpretazione di formule già viste e riviste, più che salti quantici veri e propri.

È un po’ come per i programmi televisivi tanto in voga: dopo aver fatto scannare aspiranti cuochi, chef professionisti, studenti della scuola alberghiera, pasticceri dal mondo e semplici curiosi, più o meno usando lo stesso format, che altro dobbiamo aspettarci? Che altro potrebbe sorprenderci?

E, se se ne accorge un telespettatore, figuriamoci un consumatore.

Ci siamo, quindi, chiesti cosa possa voler dire effettivamente, oggi, fare innovazione nella ristorazione, attraverso quali canali, ma, soprattutto, se esistano ancora reali margini per produrre “novità”.

«Sì, assolutamente sì», ci risponde Vissia Nucci, ingegnere per formazione e foodblogger per passione che, col suo blog Solo per gusto, ha creato un interessante spazio di scambio e confronto tra aziende del settore e consumatori.

«Il blog è iniziato per scherzo sei anni fa e, inaspettatamente, mi ha portato a conoscere i prodotti, ma anche i processi produttivi, sia delle piccole industrie artigianali che di grandi aziende. Ho potuto mettere il naso dentro pastifici, distillerie, grandi cucine industriali, cantine vinicole e salumifici di tutte le dimensioni, e non è raro essere chiamata da chi vuole aprire un ristorante per la prova menù o, addirittura, per fare da giudice in competizioni gastronomiche».

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Ci sorride e continua: «è vero: quando penso a innovazione e cucina, ho due parti di me che si sentono chiamate in causa: una è la foodblogger, quella che “la sua fame la precede” sempre alla ricerca di sapori nuovi, l’altra è l’ingegnera, quella tutta progresso e pragmatismo. La prima è convinta fermamente che cucina è creatività – pure arte, verrebbe da dire, ma poi mi mordo le labbra perché secondo me, quelli che si sentono artisti, questa cosa la vivono proprio male».

Per Vissia, pensare che nel piatto si sia già detto tutto, sarebbe come ammettere che non c’è più futuro per il genio umano, game over. Ed è impensabile. Quindi non conta molto se parta dalla tradizione o dalla sperimentazione pura, quel che conta è non fermarsi mai, non perdere curiosità e gusto di fare.

Poi c’è l’altra, l’ingegnera, che vede nell’innovazione qualcosa di più che l’accostamento di due ingredienti a cui nessuno (?) aveva mai pensato. Per lei innovare significa rivoluzionare e la percepisce come un’esigenza: ci sarà perché ce ne è bisogno. Ma non saranno gli chef a guidare questo cambiamento, sarà la grande industria alimentare, fatta di ingegneri (ops!), chimici e biologi. Poi, magari, interpelleranno uno chef per dare il tocco finale, oppure sarà coinvolto solo per mettere la sua faccia sulla confezione, di fatto, però, la creazione non sarà la sua.

«Triste? Non credo, e, soprattutto, non si sa cosa ci riserverà il futuro. C’è chi parla già da tempo delle farine di insetti, necessarie per andare incontro al progressivo ridursi delle risorse del nostro pianeta e chi, al contempo, sta studiando cibi sempre meno calorici per contrastare l’obesità della parte ricca e opulenta della terra».

Insomma, forse non si può parlare di “novità” tout court, ma della capacità di far convivere più anime e alimentare una visione meno frammentata del mondo “food”, con un occhio al proprio orticello, alla spesa da fare, ai macchinari da rinnovare, alle ricette da creare, ma anche uno sguardo sempre maggiore alle questioni globali che, forse, non ci riguardano immediatamente, ma non sappiamo ancora per quanto.

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