Aprire gelaterie e pasticcerie: meglio Usa o Medio Oriente?

Quali sono le informazioni basilari per aprire una gelateria o una pasticceria all’estero – è questo il focus del seminario Going Global che si è tenuto il 21 gennaio 2017 presso il Sigep, fiera internazionale interamente dedicata ad operatori professionali nei settori della gelateria, pasticceria, panificazione e caffè.

In una sala gremita di imprenditori e investitori, i relatori hanno condiviso informazioni e raccontato esperienze.

Per quel che riguarda il mercato statunitense, Alessio Gambino di IBS Italia, ha parlato di un giro d’affari di circa 22 miliardi di dollari annui (nel 2015) legato al mondo ice cream, che non identifica solo il prodotto, ma l’intero ecosistema: materie prime, attrezzature, location, ecc.

Il 40% degli americani ama il gelato ed è previsto un aumento di consumo del 2% entro il 2020. Circa il 73% dei clienti predilige la formula dell’asporto e del consumo casalingo, anche perché i canali distributivi privilegiati sono composti da grandi supermercati, negozi specializzati, discount e, infine, catene di gelaterie.

Tra queste, spiccano per presenza e fama, Amorino e Grom, che hanno avuto anche l’ardire di aggredire il duro, costoso e affollato mercato di New York, dove un locale può arrivare a costare anche tremila dollari al mq.

Date le difficoltà logistiche e i costi, ogni imprenditore deve elaborare un modello di business adatto: alcuni hanno puntato sui rifornimenti delle vaschette frozen già pronte per essere smerciate, altri ricevono la miscela e preparano il prodotto in loco.

Le differenze gestionali ed economiche sono molto legate al territorio e ai diversi Stati, come le abitudini di consumo: un’analisi preliminare molto approfondita è indispensabile per effettuare le giuste scelte.

C’è chi ha preferito evitare i luoghi marcatamente turistici o centrali per diventare un punto di riferimento in zone e quartieri più piccoli e meno cool, ma mantenendo un notevole vantaggio competitivo.

Comune a tutte le soluzioni c’è, invece, la questione «servizi». In America, il concetto di servizio è più importante del prodotto stesso, per cui un’ottima organizzazione per quel che riguarda il delivery, ad esempio, non è un optional, ma l’elemento fondante del business.

I gusti più scelti? Vaniglia e cioccolato. Sissignori, niente tartufo e rabarbaro, la parola d’ordine resta “semplicità”.

Piuttosto consolidato è il sistema del franchising: in USA, un’impresa su 12 adotta questa formula, pari al 40% delle vendite retail. È prassi che la casa madre nomini in ogni Stato un master franchisee che si occupi della diffusione del brand nella regione di competenza.

Mercato totalmente diverso quello del Medio Oriente, che continua a occupare i sogni di molte imprese italiane.

«È un amore corrisposto» conferma Norman Cescut, CEO di Desita, che ha restituito un quadro in forte cambiamento. Dopo l’assalto alla baionetta di Dubai degli ultimi 15 anni (e i relativi fallimenti imprenditoriali), si registra una maggiore prudenza che deriva soprattutto dal raggiungimento di una certa saturazione commerciale.

Si tratta, comunque, di territori estremamente ricchi, affamati di novità, con un’economia per nulla stagnante, ma non vanno sottovalutate alcune componenti strutturali e culturali specifiche.

DESITA-BLOG-goingGlobal2Il food & beverage resta il segmento più importante, spinto anche dalla occidentalizzazione delle abitudini: “eat all day” (poter mangiare qualsiasi cosa a qualsiasi ora) e la crescente attenzione per la componente salutistica sono solo due dei principali trend in consolidamento, anche grazie ad un’età media della popolazione piuttosto bassa.

Se, fino a dieci anni fa, il potere era concentrato nelle mani di pochi top players (specie nel campo edile) che, a loro volta, dialogavano prevalentemente con grandi gruppi internazionali, ora si assiste progressivamente a una redistribuzione che fa emergere anche imprenditori meno mastodontici, ma più attenti ai bisogni dei singoli territori e questo crea molte opportunità.

Mentre, infatti, negli USA, è necessario ottenere un visto per poter operare stabilmente nel Paese (e viene rilasciato solo a fronte di un business plan convincente che crei sviluppo e posti di lavoro), in Medio Oriente, c’è l’obbligo di avere un partner locale. Dopo averlo identificato, riuscire a convincere questo partner della bontà della propria idea non è affatto facile e la fase negoziale è estremamente delicata.

Innegabile che capiscano quasi solo la lingua del franchising. Qualsiasi proposta commerciale (ne ricevono a centinaia e non hanno che l’imbarazzo della scelta) viene valutata soprattutto in prospettiva e in replicabilità. Il concetto di singolo punto vendita, per loro, è molto poco interessante.

Questo ragionare in grande deriva certamente dall’abbondanza di risorse, ma anche dalle peculiarità della società araba: durante il Ramadan, ad esempio, è tradizione che, dopo il tramonto, si consumino pasti a base di pollo, patate, legumi, ma, soprattutto dolci e gli acquisti nelle pasticcerie fanno registrare numeri da capogiro.

Una curiosità: è stato stimato che un arabo decide se partecipare o meno a un progetto (come partner o investitore) nei primi 30 minuti di confronto e che vanno assolutamente evitati atteggiamenti direttivi o rigidi per non urtare la loro suscettibilità.

Cescut ha raccontato di negoziati che si sono improvvisamente interrotti per una parola sbagliata (gli italiani sanno essere maestri in questo) un istante prima della firma del contratto.

L’ingresso dell’Iran nel panorama economico generale, poi, ha ulteriormente reso la situazione più ricca, ma anche più complessa. La cultura persiana è molto diversa da quella araba, sia nei gusti che nelle abitudini. Questo aspetto va tenuto in considerazione soprattutto in fase di reclutamento e formazione della manodopera sul posto.

Il seminario si è concluso con l’analisi dei principali strumenti per l’accesso al credito (senza una credit history è impensabile anche solo affittare un locale) e con un video messaggio di Gianfranco Zola, ex calciatore, attualmente allenatore del Birmingham City, ma anche proprietario della gelateria artigianale “Unico” a Londra, che ha raccontato con toni entusiastici di questa sua esperienza nel settore e ha augurato uno speciale in bocca al lupo a tutti coloro che faranno grande il gelato e il made in Italy nel mondo.

 

 

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