Il ruolo della catena del freddo nei processi di internazionalizzazione

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Un brand della ristorazione che intenda aggredire nuove fasce di mercato e puntare sull’internazionalizzazione affronta numerose sfide legate ad aspetti culturali, di know how, di formazione e approvvigionamento merci.

Gli chef si affezionano a prodotti e fornitori della madrepatria e si chiedono se riusciranno a riprodurre i piatti che li hanno portati al successo in mancanza di un certo ingrediente o dell’ortofrutta di fiducia.

La creazione di un format del food, in logica franchising, fornisce soluzioni e risposte anche a questi interrogativi.

La food supply chain è l’insieme di passaggi compiuti da una materia prima per arrivare nelle cucine dei ristoranti e definirne ogni aspetto costituisce proprio parte integrante dello sviluppo progettuale.

Nel mondo globalizzato, la reperibilità di ortaggi, frutta e carni fresche è decisamente agevole – come ci ricorda lo chef Corrado Pani in questa intervista – ma diventa risolutivo pensare alla catena del freddo come alleato indispensabile.

L’utilizzo del surgelato viene spesso visto con sospetto sia da operatori che da clienti, eppure, le implicazioni positive sono davvero molte:

  1. Disponibilità di prodotto tutto l’anno
  2. Drastica riduzione degli sprechi (uso ciò che occorre e ripongo il resto)
  3. Mantenimento delle proprietà nutritive
  4. Migliore conservazione degli alimenti
  5. Rispetto di standard qualitativi
  6. Controlli e garanzie (almeno per quel che riguarda le aziende italiane)

C’è da domandarsi come mai il consumatore si scandalizzi tanto della presenza del surgelato nelle sue preparazioni preferite quando le nonne e le mamme sono state le prime a tirare fuori dal congelatore le zucchine tagliate in precedenza o l’agnello ricevuto in regalo dai parenti.

Eppure, il percepito di produzioni su vasta scala, attraverso l’uso di macchinari oscuri, anziché nel cucinotto a vista, genera preconcetti difficili da debellare.

Se le perplessità hanno a che fare col sapore non identico a quello del prodotto fresco, va anche ricordato che l’elemento di snodo è proprio la ricettazione: c’è molta differenza tra il cucinare una pietanza attraverso procedure industriali, metterla sotto ghiaccio, in una busta, per venderla a pochi euro e l’usare uno spinacio surgelato, insieme ad altri ingredienti e maestria, per ottenere una portata gourmet.

Inoltre, dal punto di vista dell’operatore, andrebbero fatte le dovute considerazioni economico-gestionali: la catena di ristoranti che vada a scegliere una food supply chain con alimenti surgelati si assicura un controllo al centesimo sulle spese per i rifornimenti di tutti i punti vendita, cosa che risulterebbe molto più macchinosa e soggetta a continue fluttuazioni se si negoziasse, di volta in volta, con diversi fornitori, senza un accordo-quadro a regolare le operazioni.

Standardizzare questi iter, poi, è diventato molto intuitivo grazie alla tecnologia: ci si può avvalere di specifiche piattaforme attraverso le quali fare ordini di ogni genere, dal cibo all’arredamento, con semplice un click.

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