La pasta e le sfide del mercato globale

“Niente che un bel piatto di pasta non possa risolvere” leggiamo su Twitter.

Pilastro insostituibile della dieta mediterranea, elemento distintivo dell’italianità e soluzione preziosa per pranzi domenicali o cene da single, la pasta sta vivendo un momento di grande protagonismo.

Dalla prima Giornata Mondiale della Pasta, celebrata circa 18 anni fa, la produzione è aumentata del 57% in tutto il mondo e sono passati da 30 a 52 i Paesi che ne consumano almeno 1 kg pro capite.

E se l’Italia resta in testa per consumo, seguita da Tunisia, Russia e Grecia, l’export ha un suo bel da fare in Germania ed Emirati Arabi, dove il cibo Made in Italy resta estremamente apprezzato.

Che sia anche per le interpretazioni gourmet ad opera dell’alta cucina?

Sfogliando le pagine di Pasta Revolution, ultimo lavoro editoriale della food journalist Eleonora Cozzella, restiamo sorpresi dalle sperimentazioni intorno al celeberrimo alimento.

La giornalista racconta di come molti chef utilizzino la pasta non solo come primo piatto, ma anche come antipasto, contorno per uno stracotto o ingrediente di una delicata insalata di mare. C’è addirittura chi la trasforma in una crema da spalmare sulla bruschetta per una prima colazione da veri campioni.

Laddove l’esigenza culinaria fosse più incentrata sulla tradizione e la semplicità, si può trovare un’ottima soluzione in concept come Pasta e Sugo o Giovanni Rana: location accattivanti, pietanze espresse, costi contenuti.

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E come non ricordare le avveniristiche vending machine – eh, sì: ci sono ancora – che consentono di non rinunciare all’amato carboidrato anche in situazioni logistiche sfavorevoli. 

Insomma: c’è attenzione, c’è voglia, c’è richiesta e, naturalmente, vanno offerte soluzioni ragionate.

La spinta di un’economia sempre più esigente, multietnica e social-oriented incide inevitabilmente anche sulle scelte di comunicazione e di brand image dei produttori: aspettarsi che partecipare alle fiere di settore con qualche pacchetto sul banco sia sufficiente per attirare investitori o competere a livello internazionale sarebbe un po’ ingenuo.

Un approccio al mercato globale e delle “conversazioni” – come indicato nel Clutrain Manifesto – non significa tradire la propria storia o rinunciare alla qualità degli ingredienti e dei processi produttivi, non è l’abdicare della sostanza in favore della forma, semmai è il contrario: è veicolare, attraverso forme nuove, il valore della sostanza.

Sogniamo un pastificio affascinante come la Apple, con prodotto di alta gamma, ma anche in grado di costruire un senso di bellezza e di identità intorno al proprio brand: che lavori sul merchandising – ti propongo ottima pasta, ma anche un particolarissimo e innovativo misuratore per gli spaghetti – sul dialogo coi clienti online e offline (leggete la bellissima storia di Daniele Capozzi, titolare di Pasta Zalla), sulle sinergie col territorio e col design – inteso anche come strumento per ripensare l’esperienza di consumo.

Banditi, quindi, atteggiamenti troppo autoreferenziali e via libera a iniziative più moderne, legate al networking, alla collaborazione, ai progetti per l’innovazione e, perché no, alla creatività: uscire dagli schemi può essere salutare e molto efficace.

Forse si continuerà a gustare un bel piatto di pasta seduti comodamente a un tavolo, nella più consueta delle maniere, ma, per farsi scegliere da ristoratori, distributori e clienti di tutto il mondo, il solo prodotto non basterà più.

 

 

 

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