Anno 2017 e caccia aperta ai trend. Mentre autorevoli ricerche – ISMEA e OIV in testa – ci restituiscono un quadro della situazione altalenante, tra un 2016 chiuso senza grossi entusiasmi e una proiezione di maggiore apertura per l’anno in corso, ci è parso interessante ascoltare la voce di un operatore del territorio e capire meglio il suo punto di vista.
Mi occupo di vino dal lontano 1987. Per le aziende mie clienti sviluppo strategie commerciali e di marketing.
Il vino ha sempre fatto parte della storia della mia famiglia. I miei genitori si occupavano di ristorazione e, in un secondo tempo, mio padre ha lavorato per Marchesi Antinori in qualità di rappresentante.
L’amore è stato, quindi, letteralmente ereditato e vissuto sin dalla mia adolescenza.
Secondo me, i giovani non vengono educati al vino entro le mura domestiche, ma attraverso esperienze fuori casa e questo crea sicuramente un approccio più attento e razionale nei confronti di un prodotto estremamente variegato, a volte, difficile. Il vino continua, comunque, a risultare socialmente più appagante e culturalmente più elevato e il fatto che costi un po’ di più, rispetto ad altre bevande, viene compensato dalla propensione a considerarne la qualità, più che la quantità.
La quantità pro capite di vino consumato si è ulteriormente ridotta. L’approvvigionamento ha visto affermarsi la rete in luogo delle enoteche tradizionali: Tannico, Vino 75, Extra Wine, Bernabei sono i principali siti di vendita presenti sul territorio nazionale. Il consumo fuori casa si è spostato dal ristorante tradizionale alla vineria, ove i ricarichi sono meno esosi.
L’argomento della conoscenza è una questione di lana caprina: i social hanno contribuito non tanto ad una informazione culturalmente corretta, bensì ad un bombardamento mediatico.
Di riappropriarsi del mercato nazionale. Vero che è particolarmente oneroso e finanziariamente instabile, ma non c’è dubbio che è il domestic market ad affermare il brand, prima di ogni altro tentativo. Trascurarlo, come successo negli ultimi anni, non offre grandi ritorni.
Nel mondo del vino, i commerciali che riscuotono o hanno riscosso successo sono degli “atipici”: tanto efficaci in questo settore quanto inadatti già per l’alimentare, per esempio. E ho anche incontrato manager molto preparati che mi hanno fatto letteralmente impazzire nel tentativo di trasferire loro il valore del prodotto.
Consiglierei, quindi, di lavorare a 360°, attraverso una formazione sia trasversale che tecnica: corsi di sommelier, visite in cantina, partecipazione a fiere di settore, acquisto costante di libri e guide.