Iran andata e ritorno

Intervista pubblicata sul numero di ottobre della rivista “Il Friuli Business”. 

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Con la fine dell’embargo, si apre una nuova stagione economica per l’Iran e, dopo quasi quattro decenni di chiusura al mondo, tutti gli occhi sono puntati verso questi territori.

<<E’ un mercato diverso da quello arabo: la cultura persiana è molto avanzata e desiderosa di distinguersi da quella dei “vicini di casa”>>, ci racconta Norman Cescut, imprenditore friulano, CEO di DESITA, azienda che sviluppa brand e concept commerciali in tutto il mondo, con uffici in Italia, Dubai, India e Teheran.

Per un imprenditore, qual è l’approccio migliore a un mercato che conosce poco?

<<Non vorrei risultare banale, ma direi il rispetto e la delega a chi ne sa di più. Dal 1997, anno che ci ha visti sbarcare a Dubai, potrei portare molti esempi di idee imprenditoriali fallite a causa di un approccio poco maturo ed eccessivamente egoriferito. Anche per questo motivo, dopo l’apertura del nostro ufficio di Teheran, abbiamo ritenuto che avesse senso organizzare degli incontri all’interno di incubatori locali, con l’obiettivo di ascoltare, prima ancora che proporre, creando un vero e proprio sistema di networking, che gettasse dei ponti importanti con l’Italia>>.

Quali sono esattamente le opportunità a cui fate riferimento?

<<È un percorso a doppia via: imprenditori italiani che vogliano portare la loro attività all’estero, ma anche investitori iraniani innamorati dell’Italia e desiderosi di attingere dal “made in Italy” per far crescere il proprio Paese>>.

Quali sono i segmenti di mercato maggiormente coinvolti in questa rivoluzione?

<<Sicuramente ristorazione e hospitality, nostra specializzazione, ma non sono gli unici sbocchi. Consideriamo sempre che stiamo parlando di uscire da anni di isolamento>>.

Quali sono attualmente le principali difficoltà?

<<Sono di tipo politico e burocratico, naturalmente. Continua ad essere problematico fare transazioni finanziarie con le banche iraniane, ad esempio, nonostante il progressivo ricollegamento allo SWIFT e non è ancora del tutto chiaro in che modo si stia redistribuendo il potere, anche attraverso l’incredibile accelerazione economica>>.

DESITA si occupa anche di creare franchising, è un modello che ritenete potrebbe attecchire in Iran?

<<Sicuramente. Abbiamo già diverse richieste in questo senso. Chi si rivolge a noi non è interessato alla creazione di un semplice logo o al solo rendering di un locale: ambisce a un supporto molto più ricco e articolato, all’interno del quale ogni singolo elemento, dalla brand identity alla realizzazione architettonica, è concepito per mettere a sistema le risorse e amplificare i guadagni>>.

È semplice trasferire questo tipo di valore?

<<No, affatto. Non è mai semplice per chi fa impresa accettare la presenza di un elemento “terzo” tra sé e il proprio obiettivo. Tuttavia, mi sento di dire che in Medio Oriente è un po’ diverso: ad esempio, il cliente ci interpella con tutte le intenzioni di commissionarci per intero sia il processo creativo (concept, progettazione, ottimizzazione del modello di business) che quello operativo (scelta fornitori, supervisione lavori, oneri burocratici, ecc), ha in testa un budget ben preciso e non si sogna neanche di mettere in discussione scelte sulle quali non è competente: vuole essere sollevato dalle responsabilità. Dall’altro lato, manifesta spesso una minore rapidità decisionale e, a volte, si fa fatica a interpretare i segnali per indirizzare al meglio le diverse azioni. Occorre davvero averne esperienza per fare bene>>.

Quindi, lavorare sulla cultura d’impresa è molto importante ovunque…

<<Assolutamente sì. Ogni anno investiamo risorse ed energie per creare progetti finalizzati all’innovazione e all’ampliamento dei punti di contatto tra domanda e offerta. Siamo fortemente presenti sui principali social, curiamo un blog molto vivace e siamo stati promotori di contest internazionali di successo. Assicurare un impatto positivo su più stakeholders possibili è molto importante per noi. 

La nostra filosofia “design for business” vuol dire anche questo: coinvolgere sì imprenditori e investitori, ma anche designers, fotografi, innovatori e tutte le aziende presenti nella filiera del foodservice a livello mondiale>>.

 

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