La psicologia della scelta: facilitare il cliente nel processo decisionale

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Viviamo in un’epoca senza precedenti dal punto di vista delle scelte: informazioni, luoghi, prodotti, stili di vita, in nessun altro momento della storia umana c’è stata una tale varietà.

La scelta è la più pura espressione del libero arbitrio. La libertà di scegliere ci permette di modellare la nostra vita esattamente come la desideriamo (a patto di avere le risorse per farlo, ovvio).

Ma va ricordato come, quello della scelta, sia anche un momento difficile perché rappresenta un sacrificio. Scegliere qualcosa significa intrinsecamente rinunciare a qualcos’altro, qualcosa che si potrebbe desiderare domani o la prossima settimana e che non sarà più disponibile se non l’afferriamo subito.

Esperti di marketing, venditori e imprenditori cercano da sempre di “entrare nella testa del cliente” e capire meglio come mai si acquisti un certo prodotto e non un altro, si vada in un determinato locale rispetto a un altro o si assuma un certo professionista e non un altro.

Nessuno è in grado di dare risposte definitive in merito, tuttavia due decenni di ricerca forniscono alcune informazioni interessanti sugli elementi che entrano in gioco.

Illuminanti le considerazione della dottoressa Sheena Lyengar, docente alla Columbia Business School che, in una sua lezione, ha descritto il problema del “choise overload”. Si tratta, semplificando, dell’abbassamento della propensione all’acquisto – alla scelta – in presenza di troppe opzioni.

Sono numerosi i test eseguiti in merito, dall’osservazione dei comportamenti dentro i supermercati fino alla stipula di polizze assicurative e i risultati danno molto da riflettere. Se, da un lato, i clienti potenziali vengono attirati da vaste offerte e disponibilità, dall’altro, convertono molto meno in queste circostanze.

Incredibile, ma vero, il primo suggerimento per facilitare un processo decisionale è: far sì che le offerte commerciali siano equilibrate. Non scarne, intendiamoci, ma decisamente non dispersive.

“Less is more” recita un noto detto e non è mai stato così valido.

Una considerazione che pare essere confermata da un altro aspetto: diverse ricerche dimostrano l’aumento del livello di stress del cervello anche a causa delle continue decisioni da prendere ogni giorno, siano esse molto semplici o più complicate e cariche di responsabilità. Alcuni noti personaggi, come Barack Obama o Steve Jobs, ad esempio, consapevoli dell’importanza di non disperdere energie essenziali nelle “small decisions” hanno optato per il vestirsi quasi sempre nello stesso modo, risparmiando, così, l’investimento e il tempo di quella piccola scelta per altre scelte più importanti.

In sintesi, sotterrare un utente di proposte – che sia il menu di un ristorante o una presentazione delle centinaia di servizi aziendali – per poi lasciarlo da solo in balia della fatica decisionale non pare una strategia efficace.

Un grande aiuto viene dalla categorizzazione: inserire un’offerta dentro un ristretto numero di scatole logiche facilmente comprensibili – per il cliente, non per noi – rende più fluido l’intero processo.

Tornando all’esempio del supermercato, quanto sarebbe difficile fare la spesa in mancanza delle suddivisione in categorie? E quanto sarebbe comunque arduo se le categorie scelte per suddividere i prodotti non fornissero delle informazioni immediate e nette alla mente degli acquirenti?

Così come procedere per step progressivi di complessità: una società automobilistica tedesca che offriva la possibilità di personalizzare totalmente la propria auto ha verificato come presentare all’inizio un numero limitato di opzioni per poi renderle via via più numerose e articolate, coinvolgeva maggiormente il cliente senza spaventarlo e riduceva il tasso di abbandono della trattativa.

In conclusione, le scelte non sono mai del tutto razionali, non massimizzano necessariamente un valore oggettivo per tutti e non possiamo sapere con precisione cosa farà scattare la molla, se i contenuti, la relazione, la capacità di stabilire un contatto, la comunicazione o la sequenza del discorso, ma sappiamo quanto possa essere importante approfondire la componente psicologica e non dare nulla per scontato.

 

 

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