Perché il creativo può essere il miglior amico di un’impresa

C’è un concetto di cui si parla molto, negli ultimi tempi, quello di “disruptive innovation”. Come spesso accade, è difficile tracciare definizioni precise ed esaustive di ragionamenti complessi e in progress, ma ci proviamo: si tratta di una tipologia di innovazione (un prodotto, un modello di business, ecc) talmente sostanziale e “distruttiva” da rendere impossibile tornare alla condizione di mercato precedente. Una specie di punto di non ritorno, superato il quale, le regole del gioco, le richieste dei consumatori e le abitudini d’acquisto cambiano per sempre e costringono le aziende a fare dei salti quantici da spaccarsi le ossa.

Se non vogliamo scomodare la rivoluzione digitale in atto, possiamo pensare all’automobile. Quante cose sono cambiate da quando l’uomo si muove in macchina e non in calesse? Quanti prodotti, servizi e compagnie sono morti? Quanti sono nati e quanti sono mutati radicalmente? Quanto il cliente è diventato più esigente e quanto anela a sempre maggiore innovazione?

L’impatto sulla società e sul tessuto economico, a tutti i livelli, è stato appunto, “dirompente”.

Si possono fare mille considerazioni e mille domande, ma, tra tutte, ne spicca una: per prosperare o sopravvivere, tutte le imprese devono puntare a essere “disruptive”?

Probabilmente stiamo chiedendo troppo. Probabilmente non è possibile sfornare una “rottura” al giorno e, soprattutto, non è possibile in tutti i segmenti di mercato, tuttavia, ci pare chiaro che, per un’azienda, iniziare a ragionare in termini più creativi e meno standard, più rivolti al dopodomani che al domani, non sia tanto una scelta, quanto un asset strategico per non condannarsi da sola a una rapida obsolescenza.

Ma tutte le imprese contengono al loro interno le risorse (in termini economici, di competenze e di strategie) per sviluppare al meglio questo imperativo?

Forse no.

DESITA_pillola_02Ed ecco che potremmo assistere alla rivincita dei visionari e dei creativi o anche, semplicemente, di coloro che vivono l’imprenditoria come una creatura in movimento: non basta nutrirla e darle un percorso, bisogna anche stimolarla a saltare nei cerchi infuocati a comando.

Già Adriano Olivetti, nel 1931, favoriva l’ingresso in fabbrica di artisti e letterati, perseguendo l’obiettivo ambizioso di fare innovazione evitando gli eccessi di tecnicismo. Secondo Olivetti, tecnici e umanisti dovevano collaborare gomito a gomito per la crescita sana del business e per affrontare le sfide del nuovo.

Una contaminazione indispensabile quella tra creativi e project manager, tra pazzi e razionali, tra amanti dell’ordine e portatori di caos che inizia a manifestarsi con evidenza anche nella ricerca di un certo tipo di personale da parte dei grandi gruppi.

Neanche a dirlo, trovare professionisti in grado di gestire e coordinare questi due linguaggi apparentemente inconciliabili, incanalandone il potere creativo in logica business, potrebbe essere il Sacro Graal aziendale del futuro.

 

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